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Renata Molho su Nanni Strada

“Se si dovesse tracciare un percorso ragionato e ridotto della storia dell’abito, tra i primi nomi metterei proprio Nanni Strada, che ha ispirato tutti, dagli stilisti ai designer. Difficile inscriverla in un perimetro, cercare di definirla. Gillo Dorfles ha detto di lei: “Nanni, è un caso a sé”. Darwinianamente, la si potrebbe pensare come l’anello di congiunzione tra la moda e il design. La sua non è una storia che si fonda sul culto della personalità o la costruzione di un marchio, ma sul pensiero applicato.

Ha iniziato a lavorare con Alfa Castaldi e Anna Piaggi “a trovare le cose per i servizi a metà degli anni Sessanta – racconta – ti puoi immaginare cos’ho visto io?”, ma, invece di prendere l’autostrada e proseguire per le località più alla moda, ha scelto un territorio sconosciuto, nel quale inventare un mondo tutto suo. Molto stimata dagli intellettuali, ha avuto momenti nei quali le chiedevano anche gli autografi per strada, ma non si è lasciata distrarre dalle luci del Luna Park e ha compiuto la sua ricerca con silenziosa onestà. L’aspetto progettuale è ciò che le interessa maggiormente. Il corpo? Talmente sacro da non poter essere influenzato da un abito, ma, eventualmente custodito, protetto.

La geometria e la bidimensionalità sono i principi fondanti del suo lavoro. È stata la prima a proporre l’abito fotografato piatto, come se fosse un oggetto. Non ha mai considerato la sfilata come punto finale della creazione, non ne ha mai fatta una. La sua è un’esperienza unica, costellata di incontri con i fotografi più significativi, di collaborazioni con le industrie più prestigiose.

Quella dell’insegnamento è un’avventura nata quasi per caso, trasformatasi via via in un grande amore. Per Nanni Strada significa la trasmissione di un sapere e l’urgenza di ridare spessore a qualcosa che rischia di essere vittima di molti malintesi. La moda, infatti, non è altro che cultura. Implica capacità di analisi, sensibilità estetica e scientifica, richiede doti analogiche e di sintesi. È pensiero che si materializza e finisce con il riguardare chiunque, anche in sottrazione. È pura speculazione filosofica e, naturalmente, divertimento. Per insegnare tutto questo, fedele a se stessa, ha inventato un metodo che, pur se sistematizzato, potremmo definire, emotivo. Perché inventare per Nanni Strada è l’unico modo di procedere. Immaginare nuovi percorsi mentali, andare contro il metodo, citando Paul Feyerabend, è restituire densità, raccontare la terza dimensione. Guardare l’immenso patrimonio che sta sotto il mare, invece di sfrecciare in superficie con una rumorosa moto d’acqua.”

Testo di Renata Molho (tratto da Nanni Strada, Lezioni. Moda-­design e cultura del progetto, Lupetti, Milano 2013)

Suzy Menkes su Nanni Strada

“LONDON EXHIBIT PROBES PARALLELS BETWEEN ARCHITECTURE AND FASHION"

Skin + Bones, Parallel Practices in Fashion and Architecture (at the new Embankment Galleries in London's Somerset House until Aug. 10, 2008) is […] a fascinating study of how the two crafts have run separately but on similar lines over the last 25 years.

The show starts with the 1980s and the early graphic work of the architect Zaha Hadid […]
The usual fashion suspects -­‐ primarily Japanese and Belgian designers -‐ are chosen to link the fashion and architectural themes, starting with "Shelter". That includes images of refugee tents by the Japanese architect Shigeru Ban and the clothes of Junya Watanabe, Yohji Yamamoto and the American designer Yeohlee Teng.
Prominent also is Nanni Strada, an experimental designer in Milan in the 1970s.

[…] Kawakubo is omnipresent and her deconstructed clothes have a powerful resonance. Issey Miyake's experiments with knitted tubing were, in fact, trumped by Strada's earlier work. […]

The show closes with a Chalayan creation of light emanating via 200 moving lasers and Swarovski crystals. Is this fashion? Is it architecture? It certainly is not ready-­to‐wear. But, […] with so much in architecture transformed by technology from futuristic concept to reality, fashion may also develop extraordinary new ways of covering our skin and bones.”

Estratto dell'articolo di Suzy Menkes pubblicato sull'International Herald Tribune del 28 aprile 2008

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Testi su Nanni Strada

Fin dagli anni Sessanta l’attività di Nanni Strada ha attirato l’attenzione di teorici e critici della moda, dell’arte e del design e di giornalisti di costume e società, che hanno scritto di lei e del suo lavoro. In questa sezione sono raccolti alcuni estratti tratti da testi pubblicati.

Gillo Dorfles su Nanni Strada

È ben nota, del resto, la presenza di alcuni tentativi di giungere a una quasi assoluta progettazione, emulatoria di quella del vero e proprio design (come nel caso di Nanni Strada, la pioniera di questo procedimento); e potrei anche aggiungere che è questo il vero tipo progettuale da adottare da chi voglia far coincidere il fashion design col product design.

Testo di Gillo Dorfles (prefazione al libro di Billo L., Ponchia C., Figurini, Cluep Editrice, Padova 2003) 

Percorso professionale

Nanni Strada, fashion designer milanese, è nota per aver introdotto il linguaggio del progetto nella creazione di moda. Vicina all’ambiente culturale del design industriale e premiata con il Compasso d'Oro (1979), fin dagli anni Settanta ha sviluppato una ricerca trasversale sempre a contatto con il mondo della produzione, dell’innovazione tecnologica e della sperimentazione industriale. Ha collaborato con aziende internazionali in Giappone, Portogallo, in Cina (1978) e URSS (1983), in settori che vanno dalla moda agli accessori, dall’abbigliamento sportivo all’oggettistica. Ha firmato collezioni di importanti aziende della moda e del tessile come Dolomite, Ermenegildo Zegna, Fiorucci, La Perla, Max Mara, Nordica, Visconti di Modrone), portando l'eccellenza del Made in Italy nel mondo. Nel 1984 ha depositato i marchi “Nanni Strada” e “Nomade”, per produrre e distribuire internazionalmente le sue creazioni.

Parallelamente, la sua costante attenzione al mondo del design e dell’architettura ha dato origine ad un concetto di abito come “elemento puro”, sganciato dalla pratica sartoriale e dalle tendenze stagionali che le ha portato numerosi riconoscimenti da parte di istituzioni internazionali. Dagli anni Settanta ad oggi il suo lavoro è stato esposto nei principali musei internazionali: al Cooper Hewitt Museum di New York (1976), al Musée de la Mode de la Ville de Paris (2000), al MOCA -­ Museum of Contemporary Art di Los Angeles (2006-­2007), al National Art Center di Tokyo (2007), al Mori Arts Museum di Tokyo (2007), alla Somerset House di Londra (2008), al NAMOC - National Art Museum of China di Pechino (2008), al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano (2011), allo State Historical Museum di Mosca (2011-2012) e dal 1973 più volte alla Triennale di Milano, che nel 2003 le ha dedicato una mostra monografica.

Fin dagli anni Settanta la sua personale visione del Fashion Design è stata pubblicata sulle principali riviste di architettura e design (Domus, Casabella, Interni, Abitare tra le altre) e documentata nei volumi dedicati a questi temi. Negli anni Novanta ha intrapreso l’attività di docenza presso le principali università e accademie italiane ed internazionali, inaugurando nel 1999 il primo Laboratorio di Fashion Design alla Facoltà di Disegno Industriale del Politecnico di Milano. Le sue lezioni “antiaccademiche” sono state raccolte nel volume “Lezioni. Moda-­design e cultura del progetto” pubblicato da Lupetti Editore nel 2013.